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LE ACROBATE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 aprile 1997
 
di Silvio Soldini, con Licia Maglietta, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio (Italia, 1997)
 

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Quelle dell'autore di L'ARIA SERENA DELL'OVEST non sono tanto delle storie: ma dei mosaici, fatti dalle relazioni fra personaggi. Collanti quasi casuali, spensieratamente lombardi, nei primi film. Sempre più simmetrici, obbligati, al tempo stesso aperti, man mano che la sua opera prosegue e si approfondisce.

Storie di legami un po' mistici, comunque segreti. Fili misteriosi, delicati, spesso poetici che ne determinano misteriosamente il modo di vivere. Che rappresentano la vera ragione d'essere del cinema di Silvio Soldini: splendidamente isolato, unico nel suo pudore, in quella sua forza espressiva che gli permette di trasformare il quotidiano di questa Italia di fine secolo in un fascio sensibilissimo di rinvii spirituali.

Le Acrobate sono tre statuine greche del museo di Taranto, ma sono pure i suoi tre personaggi femminili. Con la loro sensibilità e la loro solitudine, l'equilibrio di una consapevolezza professionale o di una compiutezza esistenziale: ed il rischio di rimettere tutto in discussione. Pericolosamente, provocatoriamente in bilico.

La prima metà di LE ACROBATE sembra nata dallo sguardo incantato di Kieslowski: due donne che s'ignorano e si assomigliano, in una loro identica e dissimile solitudine, sono destinate ("obbligate" dall'imperativo della finzione cinematografica) a conoscersi.

Non tanto LA DOPPIA VITA DI VERONICA, quanto UN'ANIMA DIVISA IN DUE: che, sulla traccia di un ambiente perfettamente indagato, di un seguito di dialoghi di una semplicità, una verità esemplare, di un commento musicale al contrario straniante, trasforma la realtà più banale in mistero metafisico.

Continuasse a quel modo, LE ACROBATE sarebbe quel capolavoro che il cinema italiano attuale attende con impazienza. Ma l'incanto del cinema di Soldini non è ancora riuscito a costruirsi fino in fondo: più avanza, più pare sciogliersi. Cosi, quando il viaggio si fa concreto, le donne si conoscono, le psicologie si spiegano, la realtà si definisce, il racconto progredisce, la magia scompare. Certi personaggi (il marito meridionale, la bambina) sono eccessivamente profilati, le situazioni - persino i simbolismi - troppo spiegati. Tanto il Nord di Licia Maglietta pare squisitamente suggerito, quanto il Sud di Valeria Golino, il viaggio, l'incontro diventano ripetitivi e sottolineati.

Intendiamoci, tutto prosegue in modo più che degno, anche se questo film di due ore e passa reclama progressivamente l'intervento provvidenziale della forbice. Ma quei fili sublimi del mistero e dell'emozione sono ormai le corde troppo evidenti destinate a reggere i burattini.

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The stories of the author of L'ARIA SERENA DELL'OVEST are not so much stories as mosaics made up of the relationships between characters. Almost casual, light-heartedly Lombard collisions in the early films. Increasingly symmetrical, obligatory and at the same time open, as his work continues and deepens.

Stories of slightly mystical, yet secret ties. Mysterious, delicate, often poetic threads that mysteriously determine his way of life. They represent the true raison d'être of Silvio Soldini's cinema: splendidly isolated, unique in its modesty, in that expressive force which allows him to transform the everyday life of this Italy at the end of the century into a highly sensitive bundle of spiritual references.

The Acrobats are three Greek statuettes from the museum in Taranto, but they are also his three female characters. With their sensitivity and solitude, the balance of a professional awareness or existential fulfilment: and the risk of calling everything into question. Dangerously, provocatively in the balance.

The first half of LE ACROBATE seems to be born from Kieslowski's enchanted gaze: two women who ignore and resemble each other, in their identical and dissimilar solitude, are destined ("forced" by the imperative of cinematographic fiction) to get to know each other.

It is not so much VERONICA'S DOUBLE LIFE as A SOUL DIVIDED INTO TWO: which, on the track of a perfectly investigated environment, of a sequel of dialogues of exemplary simplicity and truth, of a musical commentary that is on the contrary alienating, transforms the most banal reality into metaphysical mystery.

If it continued in this way, LE ACROBATE would be the masterpiece that current Italian cinema is eagerly awaiting. But the enchantment of Soldini's cinema has not yet managed to build itself up to the end: the more it progresses, the more it seems to melt away. So when the journey becomes concrete, the women get to know each other, the psychologies are explained, reality is defined, the story progresses, the magic disappears. Certain characters (the southern husband, the little girl) are overly profiled, the situations - even the symbolism - overly explained. Both Licia Maglietta's North seems exquisitely suggested and Valeria Golino's South, the journey and the encounter become repetitive and emphasised.

Mind you, everything proceeds in a more than worthy manner, even if this film of two hours and more progressively demands the providential intervention of the scissors. But those sublime threads of mystery and emotion are now the all too obvious strings intended to hold the puppets up.

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